E’ la (mia) croce e delizia della cucina giapponese. Vedere un tavolo apparecchiato di tutto punto -la delizia- e non riuscire a fotografarlo come vorrei -la croce. Già perché fotografare un tavolo con tanti piatti e ciotole non è mica facile; l’unica cosa sarebbe allontanarsi per farli entrare tutti o quasi nell’immagine. Il che può essere soddisfacente delle volte, ma non sempre.
Ma c’è un ordine nella disposizione di così tanti piatti e ciotole o è puramente casuale ? Certo che c’è un ordine. Anche se non prettamente rigido, dipendente anche dalla forma dei piatti e dai colori.
In occidente le posate, disposte a destra e sinistra se non anche in alto al piatto, costituiscono una sorta di guida per la disposizione di piatti e bicchieri, o viceversa, ma in Giappone l’unico elemento estraneo ai piatti sono i bastoncini, disposti parallelamente al commensale, per il resto c’è uno spazio vuoto, da riempire…
Punti di partenza ideali -poi vedremo perché- possono essere, a destra e a sinistra, la zuppa, che sarà in buona parte dei casi di miso, cioè misoshiru, che va a destra, e la ciotola di riso a sinistra. Ideali perché, entrambi, riso e zuppa, vengono portati per ultimi dovendo essere caldi. In alto rispetto alla zuppa c’è il piatto principale (che per quanto mi riguarda non significa il più buono, considerata la bontà di riso e zuppa di miso…), che può essere pesce, specie grigliato, carne -la cui introduzione è però recente rispetto al tradizionale pesce-, ma anche tofu o uova. In alto rispetto al riso ci va, invece, il primo dei contorni, che si chiama nimono. Piatto composto da ortaggi e verdure, ma anche alghe o funghi, cotti a fuoco lento con il dashi e aromatizzato con sake, salsa di soia, zucchero e mirin. Il centro della composizione è poi occupato dal secondo contorno, aemono. Anche in questo caso verdure, condite con una salsa, ad es. di sesamo.
Last but not least, tra aemono e zuppa trova posto, quasi sempre, in un piattino, lo tsukemono, cioè verdure conservate in salamoia. Dalla consistenza piuttosto croccante, salato ma anche un po’ dolce, interrompe piacevolmente i sapori dei vari piatti, rinfrescando il palato.
Ecco, questa è una disposizione tipo. Sempre che piatti e ciotole non siano più numerosi, come accade nei menu di maggior pregio, e sempre che le portate non siano servite un po’ alla volta. Un menu del genere si chiama Ichiju Sansai, letteralmente una zuppa tre piatti. Laddove ichi siginifica uno, ju zuppa, san tre e sai piatti. Cioè quello principale accompagnati dai due contorni, chiamati okazu.
Non è un caso che non sia menzionato il riso, base di ogni pasto e quindi onnipresente, né tsukemono, anch’esso sottinteso.
Lo schema Ichiju Sansai, propone anche un corretto equilibrio tra carboidrati, proteine e vegetali e può ritrovarsi in tutti i pasti della giornata. Come mi hanno insegnato le colazioni nei ryokan (con l’onnipresente salmone grigliato) durante i miei primi viaggi in Giappone e molti set menu dei ristoranti.
Lo stesso vassoio nel quale è servito il pasto, è una derivazione, anche se più semplice, del raffinato Honzen Ryori, un tipo di banchetto nato per la nobiltà e i samurai durante l’era Muromachi, in cui appunto il vassoio-tavolino era chiamato zen.
E se siete in dubbio da dove cominciare, c’è un ordine anche per questo: prima si assaggia la zuppa, poi il riso e a seguire il piatto principale.
PS Nella foto manca, al centro, il piatto dell’aemono. Ma ciò nonostante, l’immagine mi piaceva…