Quando due anni fa suonai alla porta di una casa di Shin-Otsuka, a Tokyo, in quella che sarebbe stato il mio alloggio per tre giorni e prenotato tramite il sito Airbnb, tanta fu la sorpresa. Mi aprì sì una signora asiatica, e fin qui niente di sorprendente, in fondo ero a Tokyo, ma con il capo coperto dall’hijab. E tutte queste cose, nella capitale del Giappone, non capitano così spesso: innanzitutto di incontrare una donna musulmana, figurarsi poi vederla aprirmi la porta della sua casa. Non era giapponese, ma filippina o indonesiana, perché a Tokyo i musulmani provengono perlopiù da Filippine e Indonesia, e la signora in questione mi disse che in quella zona, a Otsuka, c’era una moschea.
Ma l’hijab, in Giappone, indossato dalle ragazze musulmane, in alcuni casi si è fuso con la moda lolita, parola che tra i tanti significati inquadra un fenomeno sottoculturale giapponese che fa uso di abiti femminili vittoriani ed edoardiani dando luogo, in alcuni casi, ad uno stravagante incrocio: hijab lolita. E alla seconda edizione del Tokyo Modest Fashion Show, alla fine dello scorso novembre, la stilista Hiroko Tokumine, che normalmente crea abiti femminili da matrimonio ma in stile lolita, ha interpretato a modo suo lo hijab, trasformandolo in accessorio “kawaii”.