Shinzo Abe ha vinto. S’infrange il sogno -di alcuni almeno- di vedere una donna, Yuriko Koike, attuale governatore di Tokyo, nel ruolo di premier giapponese. Ma era una possibilità alla quale non credeva nessuno, neanche lei, sia pure avesse vinto il partito della Koike. Invece l’idea di Abe, di cavalcare il pericolo Corea del Nord per rafforzare il suo partito e quindi il governo attraverso un nuovo consenso popolare, ha funzionato. E così ora lo stesso Abe può portare avanti il suo cavallo di battaglia: cioè la revisione della Costituzione giapponese (di cui ho scritto nel post del 10/5), il cui primo passo è sottoporre il progetto di modifica al referendum popolare. Del resto quale momento più propizio di questo per chiedere al popolo un Giappone militarmente più forte e capace di difendersi (magari senza l’aiuto americano…) dalla minaccia nordcoreana ?
Ma le elezioni giapponesi possono essere anche istruttive, diciamo così: non solo perché, come ho già scritto nel post del 29/9, sono state fissate in tempi brevissimi e dopo una campagna elettorale di una decina di giorni -cose incredibili viste dall’Italia, Paese in campagna elettorale perenne-, ma anche per un paio di dettagli di “stile” o di estetica che dir si voglia. Per me le elezioni italiane sono essenzialmente una sciagura: sinonimo di “accanimento mediatico”, di tv martellante per mesi, sondaggi (ma non si può vivere senza i sondaggi ??) e scontri -tali sono- televisivi. E sinonimo anche -ma mi qui rendo conto che l’Italia, anche in questo caso, non è tutta uguale- di città che diventano più sporche con manifesti elettorali messi dovunque, senza pietà neanche per le campane del vetro e, spesso, affissi su altri manifesti messi un’ora prima.
Bene, scontato il fatto che neanche la pubblicità elettorale riesca a sporcare muri e strade giapponesi, i manifesti elettorali giapponesi, molto più piccoli di quelli italiani, trovano timidamente posto solo in spazi numerati per strada, piccoli e pulitissimi, e in pochi altri posti. Camminando per Tokyo prima di una elezione politica, si corre il rischio di non accorgersi della vigilia elettorale. E secondo me è anche un dettaglio di stile quello di Yuriko Koike che ha ammesso, a risultati acquisiti, la sconfitta, senza mezzi termini. Che odiosi quei politici nostrani, praticamente tutti, che pur avendo perso e di brutto, si aggrappano alle interpretazione del voto e alla lettura dei dati per dire che in fondo non hanno perso.
Altra cosa, secondo me interessante. Ricordo che Bruno Vespa nel suo Porta a Porta si soffermava, con tanto di bacchetta, sui plastici delle case degli orrori. Cioè modellini fatti a posta per rappresentare luoghi dov’erano avvenuti orribili delitti e dei quali lui, da consumato (non nel senso dell’usura, purtroppo) comunicatore qual’è, spiegava i minimi dettagli.
Un tipo di comunicazione, questa di Vespa, che piaccia o non piaccia, rappresenta un modello. Così come quello introdotto dal programma diMartedi condotto da Giovanni Floris, in cui venivano spiegati praticamente, con figurine, cartoncini, pennarelli e colori diversi, temi d’attualità come l’aumento delle tasse o le pensioni. Tipi di comunicazione che, a quanto penso io, non rientrano nella tradizione italiana -giornalisti e politici italiani, quando devono dire una cosa, si limitano a parlare, al massimo con una o più immagini, anche grafiche, che scorrono alle loro spalle- e che forse sono pescati nell’immenso serbatoio di idee americano.
Ebbene, guardando per molto tempo la tv giapponese mi sono accorto che in Giappone questo tipo di comunicazione figurata è molto diffusa: anzi, non se ne può fare a meno. Qualche tempo fa ho visto, appunto sulla tv giapponese, un programma che per trattare il tema del possesso di armi negli Stati Uniti, aveva ricostruito in studio una grande rivoltella, più grande del conduttore, e nello spazio occupato dal tamburo della pistola erano ritagliate due finestre dalle quali uscivano dati e percentuali. E qualche settimana fa, in un appello televisivo fatto dai principali leader politici prima delle ultime elezioni -partecipava anche Shinzo Abe- ciascun politico ha alzato un cartello bianco su cui era scritto un messaggio, il punto forte del suo programma elettorale, riassunto in una parola o in una frase.